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Licenziamento in periodo di prova con patto nullo: la Cassazione ribadisce la reintegra (Cass. civ., Sez. Lavoro, 29 agosto 2025, n. 24201)

  • Immagine del redattore: Avv. Sabino Gervasio
    Avv. Sabino Gervasio
  • 12 set
  • Tempo di lettura: 3 min

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24201/2025 (Sez. Lavoro, ud. 11 giugno 2025, dep. 29 agosto 2025), è tornata a pronunciarsi su un tema di grande interesse pratico: le conseguenze del licenziamento intimato durante il periodo di prova quando il relativo patto è nullo.

Il caso nasce dal ricorso di una lavoratrice, inquadrata come quadro presso una importante azienda del settore retail, licenziata il 24 maggio 2018 per presunto mancato superamento della prova. La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 488/2022, aveva dichiarato nullo il patto di prova perché privo di specificazione delle mansioni da svolgere, annullato il licenziamento e riconosciuto alla lavoratrice la tutela reintegratoria attenuata, condannando l’azienda alla reintegra (poi sostituita dall’indennità pari a 12 mensilità, nel limite di 90.000 €) e alla regolarizzazione contributiva.

L’azienda ha proposto ricorso in Cassazione sostenendo due tesi principali:

  1. La nullità del patto di prova, in un contratto a tutele crescenti (D.Lgs. 23/2015), avrebbe dovuto comportare soltanto la tutela indennitaria ex art. 3, comma 1, e non la reintegra ex comma 2.

  2. La Corte d’Appello avrebbe sbagliato nel calcolare l’indennità, non sottraendo correttamente i redditi percepiti dalla lavoratrice nel periodo successivo al licenziamento.

La decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha respinto il ricorso della società, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello.

  • Sulla tutela applicabile: la Cassazione ha richiamato la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 128/2024, che ha dichiarato incostituzionale l’art. 3, comma 2, del D.Lgs. 23/2015 nella parte in cui non prevedeva la reintegra attenuata anche nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo fondato su un fatto insussistente. Secondo la Corte, quando il patto di prova è geneticamente nullo (ad esempio perché non stipulato per iscritto o privo dell’indicazione delle mansioni), il recesso per mancato superamento della prova è ingiustificato: manca infatti il “fatto materiale” posto a fondamento del licenziamento. In tali casi, il lavoratore ha diritto alla reintegra attenuata ex art. 3, comma 2, D.Lgs. 23/2015, come interpretato dalla Consulta.

  • Sull’aliunde perceptum: i giudici di legittimità hanno confermato il calcolo dell’indennità effettuato in appello, che ha correttamente considerato il tetto massimo di 12 mensilità (90.000 €), detraendo i redditi percepiti dalla lavoratrice dopo il licenziamento.

Cosa significa in pratica?

  1. Attenzione ai patti di prova: devono sempre essere stipulati per iscritto e contenere l’indicazione chiara delle mansioni. In mancanza, il patto è nullo e il rapporto diventa a tempo indeterminato sin dall’inizio.

  2. Licenziamento in prova non sempre libero: se il patto è invalido, il datore non può recedere ad nutum, ma deve dimostrare una giusta causa o un giustificato motivo. In caso contrario, il licenziamento è illegittimo.

  3. Reintegra anche nei contratti a tutele crescenti: dopo la sentenza della Consulta n. 128/2024, la reintegra attenuata si applica anche ai licenziamenti per insussistenza del fatto materiale, compresi quelli derivanti da patti di prova nulli.

  4. Risarcimento: l’indennità va calcolata entro il limite massimo di 12 mensilità della retribuzione di riferimento, detraendo l’eventuale reddito percepito altrove dal lavoratore.

Conclusione

Questa sentenza conferma un principio chiaro: un patto di prova invalido non consente al datore di lavoro di recedere liberamente. Per le aziende è quindi essenziale redigere i patti di prova in modo corretto e conforme alla legge, indicando con precisione le mansioni. Per i lavoratori, la decisione offre una tutela concreta: se il patto è nullo, il recesso in prova è da considerarsi privo di giustificazione, con conseguente diritto alla reintegrazione (o all’indennità sostitutiva).

 
 
 

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